E' polemica sulla proposta del ministro della
Sanità per un accordo con le compagnie private
Le "assicurazioni" di
Sirchia
La spesa sanitaria aumenta in relazione alla
crescita dell'età media e al sempre più alto numero di malati cronici. L'innovazione
sanitaria si fa sempre più costosa per cercare di venire incontro ai bisogni dei
pazienti, che vogliono servizi di assistenza all'altezza. Il ministro della Sanità
Sirchia si sarà chiesto: dove trovare i soldi? Alla fine ha formulato una proposta:
stipulare convenzioni tra le assicurazioni private e le Regioni per finanziare
l'intramoenia negli ospedali pubblici. Nel 2003 il 93% dei medici ospedalieri
italiani ha scelto l'intramoenia - cioè l'esercizio dell'attività privata in
ospedale, versando una quota per l'utilizzo della struttura - che però, a detta del
ministro, continua a lavorare in sostanziale perdita. Attualmente il Servizio
sanitario nazionale è finanziato con il 5, 8% del Pil, che evidentemente non basta.
In sintesi si tratterebbe di dirottare una parte del 2% del Pil, speso dagli italiani
per curarsi nella sanità privata, verso le strutture pubbliche. Questa operazione,
secondo l'ipotesi del ministro, dovrebbe portare ad un risparmio per le Regioni di
circa 5 miliardi di euro.
La soluzione prospettata da Sirchia non ha
tardato a sollevare critiche, da parte di chi condanna il «vero obiettivo del
governo, che è quello di arrivare a consistenti processi di privatizzazione del
Sistema sanitario nazionale», come ha detto il segretario confederale Cgil Passoni.
«Fare leva su elementi di tipo assicurativo è un passo indietro, sicuramente un
peggioramento - afferma Fulvio Aurora, responsabile sanità Prc - Non bisogna rifarsi
al sistema americano, ma prendere come esempio il modello assistenziale vigente in
Francia e Germania». D'altra parte la proposta non convince neanche dal punto di
vista economico: «Il sistema assicurativo prevede il pagamento per ogni singola
prestazione - spiega - e questo porterà ad un aumento degli interventi non necessari
e quindi della spesa complessiva. La differenza è che quest'ultima ricadrà sul
cittadino che paga la polizza assicurativa». Ecco allora una controproposta: «Bisogna
aumentare il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, facendolo arrivare
all'8% del Pil, o almeno al 7% per stare nella media europea». L'esigenza di un
maggior sostegno economico alla sanità pubblica è ribadita anche da chi si trova ogni
giorno a lavorare tra carenze e limiti: «Le condizioni delle strutture pubbliche sono
di estrema difficoltà - afferma il dott. Aldo Sachero, medico ospedaliero
appartenente a "Medicina democratica" - ma non è questo il modo di risollevarle».
Un'obiezione viene spontanea: «I malati cronici sono spesso affetti da patologie che
necessitano di terapie costose - osserva il dott. Sachero - Quali saranni i termini
delle convenzioni? Le polizze assicurative rischiano di non essere accessibili per
tutti». Il presidente nazionale della Lila - Lega italiana lotta all'Aids - Filippo
Manassero in questo senso è chiaro: «Molti malati di Aids vivono in condizioni di
disagio - dice - e per loro sarà difficile avere un servizio di assistenza
all'altezza senza pagare». Piuttosto sono altri gli interventi da stabilire per
migliorare il Servizio sanitario nazionale: «Bisogna puntare su un progetto di
sensibilizzazione verso la prevenzione - continua Manassero - destinato soprattutto
ai giovani». Duro il commento di Bruno Vegro, responsabile della Lila a Como, dove si
occupa di una comunità di recupero per tossicodipendenti: «Questa proposta, se
realizzata, servirebbe solo a far morire tutti quei malati che non possono
permettersi di pagare la polizza assicurativa». Poi si lascia andare ad una
considerazione amara: «In questo paese si va avanti con la regola del profitto ad
ogni costo, mentre si può parlare di sanità pubblica solo se si applica la
solidarietà».
Si profila quindi il rischio che, d'ora in
avanti, il diritto alla salute si potrà esigere solo pagando le assicurazioni
private: chi non può pagare cerchi di non ammalarsi. Contro questa triste prospettiva
è prevista una manifestazione il prossimo 27 giugno a Roma, a cui parteciperanno i
lavoratori e le lavoratrici della sanità, ancora in attesa di rinnovare il loro
contratto di lavoro scaduto da 18 mesi, insieme a tutti i cittadini che vorranno
esserci, per spiegare al ministro Sirchia che di certe "assicurazioni" non sanno che
farsene.
Niccolò Carratelli (Articolo del 17 Giugno
2003)
Ridurre al minimo i servizi per aprire alla sanità
privata
Le recenti dichiarazioni del ministro
Sirchia non sono una novità. Il ministro della sanità ribadisce ancora una volta che
le politiche sanitarie pubbliche vengono decise dal ministro Tremonti e dal
sottosegretario all'Economia Giuseppe Vegas, in linea con le aspettative dei padroni
della sanità privata. Già l'anno scorso il sottosegretario Vegas aveva delineato, in
un intervista a "Il Bisturi", la ricetta del governo Berlusconi in sanità:
diagnostica, farmaceutica, medicina di base, sono tutte cose che il sottosegretario
ritiene di poter "tranquillamente" affidare ad un sistema assicurativo, con la
detassazione per chi sottoscrive una polizza. In questa logica, il dato di partenza e
quello di arrivo coincidono, e consistono nel progressivo contenimento della spesa
sanitaria pubblica per aprire porte e finestre alla sanità privata. Del resto, la
stessa Assoprevidenza dichiarava nel maggio dell'anno scorso che i fondi sanitari
privati non avevano prospettive di espansione perché i relativi versamenti non erano
interamente deducibili dalle tasse e potevano coprire solo servizi e prestazioni
residuali, non coperti dal servizio sanitario nazionale.
Insomma, il sistema sanitario pubblico
finanziato dalla fiscalità progressiva è un avversario invincibile, e il "libero"
mercato può espandersi solo a condizione della riduzione dell'offerta pubblica e
dell'introduzione di incentivi fiscali per chi si assicura. Ecco allora che il
servizio sanitario nazionale deve garantire solo più servizi minimi per i poveri,
lasciando il campo alle assicurazioni private; va abbattuta la tassazione
progressiva, e il sistema fiscale deve incoraggiare la spesa sanitaria privata, nella
più assoluta indifferenza per le abissali disuguaglianze nell'accesso alla salute che
caratterizzano i paesi, come gli Stati Uniti, che hanno adottato questo sistema. La
sostanza del ragionamento del ministro Sirchia sull'estensione dell'attività privata
all'interno del servizio sanitario pubblico è in realtà quella di dare ciò che si
toglie: si riducono al minimo i servizi e le prestazioni rivolte alla generalità
delle persone e finanziate dalla fiscalità generale; e si restituiscono servizi a
pagamento, incoraggiando il ricorso a polizze private, sostitutive dei servizi
tagliati. In realtà, la spesa sanitaria privata pesa oggi, in Italia, il 2% del Pil.
Questo è l'esatto ammontare che manca al Fondo Sanitario Nazionale per allineare la
spesa sanitaria pubblica italiana a quella di altri paesi europei, come Francia e
Germania. In questo quadro, dobbiamo batterci perché cresca nel paese un'opposizione
politica e sociale sull'obbiettivo dell'aumento della spesa sanitaria pubblica. Noi
chiediamo l'aumento della spesa sanitaria pubblica non da oggi, perché è il solo modo
per impedire che la residualità del sistema sanitario pubblico, che finirebbe col
farsi carico solo della fase intensiva delle malattie, di quelle che hanno durata
breve, oppure di alcune malattie croniche che hanno una certa rilevanza medica, ed
esclusivamente per le fasce più povere della popolazione. Una tendenza che registra
cedimenti nel centro sinistra, a partire dal disegno di legge sulle non
autosufficienze in discussione alla Camera.
Erminia Emprin (Articolo del 17 Giugno
2003)
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